LICENZIAMENTO - TERMINI IMPUGNAZIONE - Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 01-06-2018, n. 14108

LICENZIAMENTO - TERMINI IMPUGNAZIONE - Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 01-06-2018, n. 14108

In tema di licenziamenti individuali, a norma dell'art. 6, comma 2, della l. n. 604 del 1966, come modificato dalla l. n. 183 del 2010 e successivamente dalla l. n. 92 del 2012, solo qualora la conciliazione richiesta sia rifiutata o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento il ricorso al giudice deve essere depositato, a pena di decadenza, entro i sessanta giorni successivi; ove, invece, il tentativo di conciliazione sia stato regolarmente espletato, sia pure con esito negativo, si applica il termine di centottanta giorni per il deposito del ricorso giudiziale, decorrente dalla data dell'impugnazione stragiudiziale, ma il termine rimane sospeso per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe - Presidente -

Dott. BALESTRIERI Federico - rel. Consigliere -

Dott. LORITO Matilde - Consigliere -

Dott. PONTERIO Carla - Consigliere -

Dott. MARCHESE Gabriella - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18244/2016 proposto da:

A.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268/A, presso lo studio dell'avvocato MARCO FILESI, rappresentato e difeso dall'avvocato VINCENZO ESPOSITO, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

TRAPANI SERVIZI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIROLAMO DA CARPI 1, presso lo studio dell'avvocato ANTONIO FUNARI, rappresentata e difesa dall'avvocato VITO DE STEFANO, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 650/2016 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 06/06/2016, R. G. N. 202/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/04/2018 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito l'Avvocato VINCENZO ESPOSITO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto dei primi 3 motivi del ricorso, assorbiti gli altri.

Svolgimento del processo

A.E.G. proponeva reclamo avverso la sentenza n.100/16 con cui il Tribunale di Trapani dichiarò inammissibile l'opposizione da lui proposta L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 51, avverso l'ordinanza emessa dal medesimo Tribunale che aveva ritenuto la sua decadenza, L. n. 604 del 1966, ex art. 6, comma 2, dall'impugnativa del licenziamento intimatogli il 23.7.14 dalla Trapani Servizi s.p.a., di cui era dipendente con qualifica di operatore ecologico, "per non avere reso la prestazione lavorativa nel periodo dal 19.5 al 4.6.14".

Resisteva la società.

Con sentenza depositata il 6.6.16, la Corte d'appello di Palermo rigettava il gravame, posto che il deposito del ricorso giudiziale di impugnativa del licenziamento era intervenuto oltre il termine di sessanta giorni dall'esito negativo del tentativo di conciliazione, compensando le spese.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l' A., affidato a cinque motivi.

Resiste la società con controricorso.

Motivi della decisione

1.-Con il primo motivo il ricorrente denuncia la manifesta illogicità della sentenza per aver ritenuto applicabile, ai fini della tempestività del deposito del ricorso giudiziale, ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 2 novellato, il termine decadenziale di sessanta giorni nel caso di esito negativo del tentativo di conciliazione.

Lamenta che il suddetto termine era previsto e decorreva solo dal rifiuto di accedere al tentativo di conciliazione e non già dall'esito negativo del tentativo.

2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 12 e 14 preleggi (nell'interpretazione della L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 2 novellato, da parte della corte di merito) e della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 38, interpretati in difformità degli artt. 3 e 24 Cost..

Ribadisce che la decadenza in questione è prevista dal citato art. 6, comma 2, solo allorquando la conciliazione è rifiutata o non sia stato raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, e non già nel caso, come quello in esame, in cui la conciliazione esperita abbia avuto esito negativo.

3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la "nullità della sentenza ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4, con riferimento all'art. 112 c.p.c.. Annullamento ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo".

Lamenta in sostanza una interpretazione costituzionalmente erronea della norma in questione (L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 2 novellato), laddove la sentenza impugnata, pur dando atto che il ricorso giudiziale venne depositato il 21.1.15, non considerò che tale deposito avvenne comunque nel termine di 180 giorni dall'impugnativa stragiudiziale (del 2.9.14) del licenziamento.

3.1- I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati.

La L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 2 novellato, è chiaro nel prevedere, per la nota esigenza acceleratoria dei tempi per l'impugnativa dei licenziamenti, che l'impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, mentre solo qualora la conciliazione o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo.

Deve tuttavia chiarirsi che la decorrenza del termine breve di 60 giorni si ha solo nel caso di pregiudiziale rifiuto del (procedimento inerente il) tentativo di conciliazione (o arbitrato), essendo a ciò equivalente il mancato accordo necessario al relativo espletamento, e dunque nel caso in cui la conciliazione o l'arbitrato non abbiano luogo tout court per una pregiudiziale volontà contraria di una delle parti e non invece nel caso in cui uno dei due procedimenti deflattivi si siano regolarmente svolti, sia pur con esito negativo.

Ritenere che in tal caso l'originario termine decadenziale di centottanta giorni si riduca comunque all'eventuale (ed invero frequente) minor termine compreso dall'impugnativa stragiudiziale del licenziamento allo scadere di sessanta giorni dal fallimento dell'esperito tentativo di conciliazione (ovvero comunque allo scadere di sessanta giorni dall'esito negativo del tentativo) non risulta corretto, venendo in considerazione il fondamentale diritto di azione costituzionalmente tutelato ed il principio di stretta interpretazione delle norme aventi ad oggetto decadenze sostanziali (cfr. ex aliis, Cass. S.U. n. 18574/16, Cass. n. 26085/16, Cass. n. 4531/16).

La questione resta tuttavia quella di stabilire quali siano, in tale ipotesi, i termini per la richiesta giudiziale della definizione della lite, che il legislatore vuole definita in tempi brevi.

Al riguardo non può che soccorrere il secondo comma dell'art. 410 c.p.c., secondo cui "la comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza", con la conseguenza che, in caso di mancato raggiungimento dell'accordo, il lavoratore vedrà il termine (di centottanta giorni), per l'ormai necessario deposito del ricorso giudiziale, sospeso per la durata del tentativo e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, tempo complessivo che andrà sottratto da quello di centottanta giorni decorrenti dall'impugnativa stragiudiziale del licenziamento.

Risulta dunque errata la sentenza impugnata che, in caso di infruttuosità dell'espletato tentativo, ha invece ritenuto applicabile tout court il ridetto termine di sessanta giorni per il deposito del ricorso giudiziale, con conseguente decadenza dall'impugnativa.

Nella specie risulta dalla stessa sentenza impugnata che l'organo conciliativo competente, adito dal lavoratore, convocò le parti (ciò che avviene solo dopo il deposito delle memorie ad opera delle parti, art. 410 c.p.c., comma 7, e dunque in caso di accettazione della procedura) e che il 15.10.14 entrambe le parti comparvero regolarmente dinanzi all'organismo di conciliazione (pur senza raggiungere un accordo, come documentato dal verbale di mancato accordo, cfr. pag. 2 della sentenza impugnata).

Deve allora rimarcarsi che una volta escluso che possa applicarsi il termine di 60 giorni, previsto solo per il caso di rifiuto o mancato accordo necessario all'espletamento del tentativo di conciliazione (e non già per il suo buon esito), non può che restare efficace l'originario termine di 180 giorni dall'impugnativa stragiudiziale del licenziamento, con la precisazione, a garanzia del diritto di azione del lavoratore, che, in base all'art. 410 c.p.c., comma 2, novellato, la comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.

Nella specie, peraltro, il termine di 180 giorni dall'impugnativa stragiudiziale del licenziamento (del 2.9.14) non era spirato, essendo stato depositato il ricorso giudiziale per l'impugnativa il 21.1.15 (pag. 2 sentenza impugnata), sicchè solo l'erronea interpretazione della L. n. 604 del 1966, art. 6, da parte della sentenza impugnata (che ha ritenuto nella specie unicamente applicabile il termine di 60 giorni dall'esito negativo del tentativo di conciliazione del 15.10.14) ha condotto alla declaratoria di decadenza dall'impugnativa.

4.- Debbono dunque accogliersi, nei termini sopra esposti, i primi tre motivi del ricorso, restando assorbiti il quarto ed il quinto (inerenti la dedotta illiceità del licenziamento ex art. 1345, e l'insussistenza della dedotta giusta causa di recesso). La sentenza impugnata deve dunque cassarsi in relazione alle censure accolte, con rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, per l'ulteriore esame della controversia, oltre che per la regolamentazione delle spese di lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie, nei termini di cui in motivazione, i primi tre motivi di ricorso, e dichiara assorbiti i restanti motivi 4 e 5. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Palermo in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2018


Avv. Francesco Botta

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